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Dal testo Experiencing architecture di Rasmussen a Questions of perception di Holl, Pallasmaa e Pérez-Gomez, fino al recente libro di Mallgrave From Object to experience, la condizione empatica e affettiva è divenuta sempre più centrale nella riflessione sull’architettura. Il saggio ripercorre alcuni momenti salienti dello sviluppo dell’empatia nella critica estetica e nella filosofia fenomenologica, sottolineando i fattori culturali e scientifici che hanno recentemente contribuito a ciò che è stato definito emotional turn. Particolare evidenza viene data agli sviluppi, dagli anni’80 in poi, dell’embodied cognition e al modello percettivo dell’embodied simulation che, a seguito della scoperta dei mirron neurons, può costituire oggi la base funzionale dell’empatia: quell’affective empathy alla quale dobbiamo, tuttavia, affiancare una reconstructive empathy, che, partendo dai vissuti del percipiente, richiede attenzione, immaginazione e memoria. In questa convergenza fra scienze della natura (con particolare attenzione alle scienze cognitive e alle neuroscienze) e scienze umane, l’architettura può riguadagnare una dimensione – di tradizione fenomenologica – legata al corpo-vivo, in cui la riscoperta dell’empatia diviene possibilità di declinare una comprensione dello spazio (tanto nell’uso, quanto nel progetto) che ha nel sentire e nell’agire umano il suo fulcro.
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Abstract
Il volume, esito di una ricerca pluriennale sviluppata all’interno della Sapienza Università di Roma, propone attraverso il concetto di Ri-Habitat una riflessione critica sulla questione della rigenerazione urbana dei quartieri di edilizia pubblica costruiti negli anni’50, con particolare riferimento alla città di Roma.
Inserendosi in un filone di riflessione che ha prodotto negli ultimi 25 anni esiti progettuali significativi e alimentato un intenso dibattito sulle forme contemporanee dell’azione amministrativa, alimentata spesso da iniziative bottom-up, la scelta del termine Ri-Habitat intende non solo sottolineare l’esigenza di una ri-abilitazione del patrimonio residenziale pubblico esistente, ma anche orientare lo sguardo verso un habitat capace di rigenerarsi secondo una visione olistica, che propria delle scienze bio-eco-logiche e in linea con il concetto di “qualità urbana” espresso dall’Unione Europea, sia in grado di incentivare benefici al sistema nel suo complesso. Di qui il principio di “riqualificazione sostenibile” che, pur prossimo a quello di rigenerazione urbana, intende lasciare sullo sfondo la questione dell’efficienza economica, talvolta scarsamente bilanciata rispetto alle problematiche sociali e culturali di un territorio.
Del resto aver lavorato all’interno dell’Università, affiancando all’attività di ricerca workshop, tesi di laurea e corsi didattici, ha dato al team una certa autonomia, mentre la scelta di operare all’interno di quartieri realizzati nei primi anni’50 dall’INA Casa e dall’UNRRA Casas ha inteso approfondire, con uno sguardo attento alle porosità dell’esistente, un periodo particolarmente felice della ricostruzione post-bellica, caratterizzata da una grande sperimentazione e qualità degli insediamenti. La conoscenza storica e attuale di questi contesti, affidata in larga parte ad analisi dirette per comprenderne le dinamiche in atto e dalle quali appare evidente sia l’elevata identità dei luoghi, sia il degrado fisico e sociale legato a processi di marginalizzazione e talvolta di stigmatizzazione, ha costituito la base del lavoro, al quale si sono affiancate tematiche più ampie – sulla sostenibilità degli interventi, sulla qualità del paesaggio urbano inteso come “bene comune”, sulle strumentazioni legislative attuali – per indicare il complesso delle problematiche presenti rispetto alle quali poter costruire un orizzonte di possibili strategie critiche e operative.