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Dottoranda: Giada Domenici

Titolo della tesi: Nella soglia. Attraversamenti fra architettura e filosofia.

Relatori: Paola Gregory, Franco Purini

 

Architettura e filosofia hanno avuto nel tempo diverse occasioni di dialogo e di confronto, producendo a volte traslitterazioni (trasmissioni-traduzioni-tradimenti) più o meno diretti, altre un tessuto di riferimenti che hanno inciso profondamente sulla disciplina architettonica, tracciando proprio nella soglia “pensieri produttivi seppur ancor confusi, quasi visioni”.                       

La tesi di Giada Domenici intende indagare il complesso intreccio che, spesso sub limen, si è sviluppato fra alcuni dei massimi rappresentanti della cultura architettonica e filosofica italiana nel corso del’900, aprendo un un campo di studi ancora non troppo indagato, che pone al proprio centro un “fare che è un pensare e un pensare che è azione”, secondo un circolo ermeneutico che, pur ribadendo la specificità dell’operare architettonico, non ritiene il pensiero filosofico “spiegazione eteronoma”, piuttosto sfondo da cui emerge la dimensione teorica-operativa del progetto, in un dialogo inesauribile fra l’espressione poetica dell’architetto e i movimenti di pensiero propri di una particolare epoca storica.

All’interno di questa dialogica, che per la dottoranda costituisce una questione necessaria allo sviluppo stesso del progetto, si dipana un filo  conduttore sotteso che attraversa l’intera dissertazione: l’auspicio e la consapevolezza di una identificazione fra architettura e pratica etica, riassumibile in “una responsabilità verso il presente e verso l’altro, ma soprattutto verso un futuro arduo da delineare e che sfugge a demarcazioni certe per statuto”. Partendo dall’ipotesi che “il vero sapere è in realtà un saper fare e il vero saper fare è saper fare il bene” (P. Hadot), la tesi individua, fra i tanti possibili confronti, quattro coppie di architetto/filosofo, cui corrispondono altrettanti percorsi di approfondimento che, rimandando a specifiche narrazioni tematiche e temporali, costituiscono la trama su cui tessere e catalizzare riflessioni puntuali. 

Si sviluppano così i quattro capitoli centrali della dissertazione, dedicati ciascuno a una delle quattro coppie individuate:

-        Marcello Piacentini e Giovanni Gentile, cui corrisponde, nella summa progettuale e teorica della   Città Universitaria di Roma e dell’Enciclopedia della cultura italiana, una ricerca di unità e totalità che è richiesta e ricerca di appartenenza e identità, nella prospettiva di quello “Stato Etico” inteso come espressione storica di un’immanenza dei caratteri universali dello Spirito ;

-        Ernesto Nathan Rogers ed Enzo Paci,  che, nel confronto diretto dei due protagonisti dalle pagine di “Casabella continuità” e di “aut aut”, sviluppano quel rinnovato concetto di modernità quale espressione intrinsecamente relazionale di ogni pensiero,  “sempre storico, storicizzato, dialettico”: verità storica e relativa, dunque, inserita in una prospettiva di esperienza e relazione;

-        Aldo Rossi e Antonio Gramsci, cui si associa, nella ricerca di una razionalità declinata in autonomia di linguaggio, un “indirizzo sociale prestabilito” considerato come “libertà”  operante contro l’individualismo e, contestualmente, manifestazione di un realismo storico, direttamente ancorato alle condizioni materiali in cui si opera, nell’ottica di un processo-progresso in cui la cultura non è separabile dalla politica e dalla società;

-        Paolo Portoghesi e Gianni Vattimo, che, attraverso la “Via Novissima” e il “pensiero debole” rappresentano il risvolto italiano del postmodernismo, con l’assunzione dell’ermeneutica a pratica speculativa e la conseguente apertura al pluralismo semantico declinato nella molteplicità delle storicità (individuali e collettive), dei localismi, e dunque dei linguaggi, in cui dovrà esprimersi quel processo di “rammemorazione” che non è mai appropriante, bensì implicitamente relativo, poiché legato alla triade “comprensione-interpretazione-discorso”.

 

I percorsi così delineati non solo ricostruiscono  attente perigrinazioni fra i testi per restituire il confronto diretto o “l’aleggiare di pensieri comuni”, ma orientano  la riflessione architettonica verso una proiezione a-venire.  Nella soglia fra architettura e filosofia, la dottoranda individua infatti, attraverso i principali temi-percorsi esposti, una possibile mappa dii riferimenti, tramite la quale ricostruire un possibile orizzonte significativo del progetto contemporaneo. 

L’appartenenza come ricerca di identità o meglio di identificazione come “movimento” sempre aperto che partendo dall’altro  sappia riconoscere le proprie specificità; il relazionismo come capacità di intessere con le preesistenze un dialogo innovativo “inventando”, come fece Rogers, la torre più moderna dell’epoca, ma anche come relazione fra saperi diversi, più o meno contigui, immersi nel divenire storico di un processo; il linguaggio come sistema strutturato e quindi trasmissibile e comunicativo di segni, da recuperare, però, all’interno di una dimensione fenomenologica dell’architettura che la restituisca anche come “corpo” reale”, “con tutti gli accidenti, il caos e la contingenza che a questo segue”; infine le polifonie stridenti del postmodernismo, interpretabili come palinsesti di “tracce trasmesse-gettate che il ‘genius loci’ accoglie e alle quali porgiamo il nostro ascolto”: questi gli argomenti principali che emergono nella tesi, quelli ai quali la dottoranda affida le ultime – ma mai ultimative – riflessioni che, sempre nell’esercizio del dubbio (come chiarito più volte), possano orientare verso una nuova auspicabile “responsabilità per l’avvenire” (H. Jonas)  in un “equilibrio fra libertà e disciplina”, fra attenzione alle condizioni presenti, riflessi del passato e proiezioni sul futuro. È proprio nel “faticoso procedere” del metodo di lavoro che l’operare architettonico può divenire esercizio quotidiano di un’etica della responsabilità, capace di farsi carico – oltre le proprie intenzioni – delle conseguenze che il progetto contempla, nella “predisposizione” di un fututo non più considerato quale “luogo del compimento”, ma come necessario e “utile attivatore di speranza continua”.

La tesi di Giada Domenici si sviluppa con un ampio respiro tematico e concettuale, avvalendosi di una conoscenza approfondita degli argomenti trattati, di cui è manifestazione l’ampio lavoro bibliografico, documentale e archivistico richiamato lungo l’intera  dissertazione.  Pur affrontando tematiche complesse, la scrittura appare puntuale, precisa e scorrevole, fornendo efficaci e innovativi riscontri critici “nella soglia” attraversata e pertinenti chiavi di lettura per un’architettura a-venire, di cui – come scrive – ricerca “possibili approdi, ma non mete” sulle quali riflettere. Coniugando un’elevata capacità discorsiva con una  personale visione dell’architettura nel dibattito attuale, la dissertazione dimostra un’eccellente grado di maturità, aprendo, anche, a possibili itinerari di approfondimento futuro.  

P. Gregory, Torino, 14 Gennaio 2017

 

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