La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
- Einstein
La crisi delle dimensioni fisiche, come crisi della misurazione, va di pari passo, come è facile comprendere, con la crisi del determinismo e riguarda, oggi, l’insieme delle rappresentazioni del mondo
- Paul Virilio
“...une même ville regardée de différents côtés paraît tout autre, et est comme multipliée perspectivement”
- G. W. Leibniz

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

Dottorando: Davide Paterna - XXV ciclo

Titolo della Tesi: Città sapiens. Tracce di una nuova era urbana

Relatore: Paola Gregory

 

La dissertazione proposta da Davide Paterna si muove su due campi di riflessione fra loro strettamente correlati: da un lato i risvolti filosofici ed epistemologici dati al nostro campo disciplinare "dall'oltrepassamento della metafisica che ha attraversato la modernità e i suoi paradigmi irrisolti" e che oggi sembrerebbe "esaurirsi sotto l'azione di spinte neo-conservatrici, nate dall'esigenza di contrastare il dilagante ed omogeneizzante predominio del pensiero tecnico-scientifico"; dall'altro un'indagine critica sulla città, sul suo futuro divenire, sulla possibilità o meno di un progetto orientato verso un ambito macro-territoritoriale, laddove il paesaggio urbanizzato costituisce l'emblematica condizione di un limen in cui sfocano i confini fra naturale e artificiale, fra "l'eterno e immutabile fluire dei fenomeni e la volontà razional-dominante che tutto [sembra] fagocitare".

Arrischiandosi sul difficile terreno di soglia fra discipline diverse e partendo dalle due posizioni antitetiche espresse da Vittorio Gregotti e Rem Koolhaas - il primo sostenitore di un progetto ancora moderno di città, in grado di definirne attraverso gli strumenti propri dell'architettura e del piano  l'impronta sul territorio; il secondo sagace poeta della morte della pianificazione urbanistica, di cui la città generica e il junkspace rappresentano l'ultima forma evolutiva della città - la tesi intende indagare quali siano oggi i possibili margini di allontanamento da una sterile duplicazione oppositiva, che da un lato sembra sospingere il pensiero occidentale verso uno sfondo nichilistico, dall'altro intende sublimarlo attraverso una visione ancora ideologica - talvolta messianica - di interpretazione del reale, basato sulle "magnifiche e progressive sorti" della razionalità umana.  

L'idea di un controllo e di una manipolazione (tecnico-scientifica) della realtà - sviluppati a partire dalla scienza moderna - hanno, del resto, da tempo  evidenziato i segni di una crisi profonda:  lo stesso Manfredi Tafuri  ne indicò nel 1973 la ineluttabile parabola discendente, contribuendo - sottolinea Paterna - a smontare i postulati ideologici su cui si era costruita l'epopea del Movimento Moderno. "L'architettura come ideologia del Piano è travolta dalla realtà del Piano", scriveva Tafuri, dimostrando "l'inutilità dello sforzo inventivo messo in opera per definire la forma. La città permane un'incognita" e questo - continua Paterna - appare oggi ancor più evidente, poiché gli effetti della globalizzazione (dell'economia, della cultura, del linguaggio) finiscono per scardinare  qualsiasi "coincidenza tra contesto e progetto, tra civiltà e morfologia insediativa", sino a prefigurare una possibile "fine della città" poiché, se la città è ovunque - come scrive Massimo Cacciari - non vi è più città.

E' questa città onnivora, dispiegata e alimentata da dispositivi e strumentazioni tecniche e informatiche  sempre più pervasive e sofisticate, a costituire l'oggetto specifico delle riflessioni della tesi, che vi giunge dopo una salente e lucida disamina storica del concetto di città.

Dalla polis greca - la città chiusa, determinata dalla definizione dei suoi limiti spaziali e temporali, città come corpo urbano capace di esplicitare nella sua organicità il rapporto uomo-mondo - alla civitas romana - la città senza confini e senza limiti concettuali, legata all'idea di cittadinanza (ovvero all'insieme delle regole normative che sovrintendono la relazione con l'altro), il cui carattere determinante piuttosto che dalle mura è rappresentato dal castrum quale matrice urbana decentrata; dalla città-madre - la metropoli, organizzata a partire dal XIX secolo attorno ai centri di produzione industriale - alla città-mondo - definita dalla "crisi della sovranità territoriale [...] che rispecchia il dominio planetario del capitalismo e della finanza" - la dissertazione si focalizza sull'attuale città informazionale, la "città delle reti", la cui matrice materiale "sarà - come evidenzia Manuel Castells - l'insieme degli elementi che supportano i flussi", ovvero i "circuiti di scambi elettronici", i "nodi" e gli "snodi" e, infine, lo "spazio organizzato intorno alle funzioni esercitate dalle élite manageriali dominanti". Uno spazio di dominio - lo definisce Paterna in accordo con il sociologo catalano - le cui potenzialità condizionano fortemente le logiche strutturali di intere società, economie e nazioni.

L'era dell'informazione costringe, dunque, a ripensare profondamente le forme di sviluppo e i meccanismi spaziali delle nostre città, sempre più assimilabili a sistemi adattivi complessi: rispetto al piano di concezione moderna, prefigurante il processo evolutivo urbano in un ampio intervallo spazio-temporale, oggi la simultaneità dei cambiamenti introdotti dalla rivoluzione informatica apre il campo "a una forma di pianificazione a geometria variabile" capace di mutare strutture e obiettivi in relazione alle rapide modificazioni dei parametri informatori. Sono questi "sistemi" flessibili, adattivi e complessi, sempre più nutriti di tessuti digitali, a rendere il territorio supporto favorevole all'ibridazione, interazione, connettività, porosità (quindi alla stessa vulnerabilità), come risulta  dall'anamnesi della città attuale e dalle nuove ipotesi progettuali analizzate e messe in campo dalla tesi.

Dalla urbanistica integrale, caratterizzata da modelli di sviluppo olistici, policentrici, non gerarchici e dinamici, alla urbano genetica, nella ricerca di analogie fra urbanistica e biologia su cui basare nuovi modelli previsionali e progettuali; dalle città intelligenti, nelle loro declinazioni possibili di   Smart City e più recentemente di Human City - in cui il ruolo strategico ricoperto dalle infrastrutture ICT risponde a un nuovo modello di crescita sostenibile, che è ambientale (gestione dei rifiuti, trasporti, governo delle risorse naturali e produzione di energia) e sociale (istruzione, sicurezza, pianificazione urbana, housing) insieme - sino alle città Open Source,  il cui sviluppo - basato su un'azione corale di utilizzo del web - dovrebbe garantirne un processo condiviso, adattato ed eseguito in produzione collaborativa, si tratta sempre, nei diversi esempi richiamati, di sostenere la complessità della vita urbana attraverso la tecnica, al fine di produrre un sensibile miglioramento delle condizioni di vita di ciascun individuo e delle intere comunità insediate.

Tuttavia la tecnica - questione sottesa e centrale di tutta la dissertazione - sempre più sembra sospinta verso "l'alienazione di ogni prerogativa antropologica", conducendo "il progetto verso un assurdo etimologico": la sua irriproducibilità ovvero la sua impossibilità di "ogni pre-visione altra  all'infuori di quella compresa nello scenario pre-ordinato della tecnica stessa". La stessa "urbanizzazione totale" sarebbe, in questo senso, il prodotto ultimo della tecnica che ha spalancato, di fronte alla inadeguatezza dell'uomo, un mondo smisurato.

L'afasia e la crisi attuale del progetto di fronte alla "fine della città", ovvero  alla consapevolezza dei limiti di un territorio-mondo non più urbanizzabile, potrebbe forse, allora, risolversi in un cambiamento di paradigma: anziché arginare la nostra angoscia di aver raggiunto un limite rispetto al quale mai l’umanità si era dovuta confrontare, affidando alla tecnica non solo il completo dominio del mondo ma lo stesso "sfondo di senso" del nostro operare, essere in grado di incorporare quel limite nell'ottica di un suo superamento concettuale, laddove fuori dal mondo si apre l’universo infinito.

Alla necessità, espressa nell'illimitata emancipazione dell'uomo dai suoi limiti attraverso la tecnica, subentra - scrive  Paterna - l'urgenza del pensiero, costretto di nuovo a "interrogarsi dal principio" nella ricerca di una etica dell'abitare. Potremmo così prendere coscienza di essere non più "nomadi in prigione", bensì "viandanti senza più meta" in un "territorio-mondo" dove l'erranza non è rinuncia all'oikos, piuttosto un nuovo modo di imparare ad abitare la Terra: un modo capace di recuperare quella saggezza e prudenza che la città sapiens potrebbe indicare, dove "nel mondo fattosi città" sia possibile ritrovare e riscattare una rinnovata “consonanza fra civitas e polis", ovvero una "comunanza di senso tra il corpo, luogo originario e unico senso inemendabile, e il mondo, meta iniziale e finale del lungo viaggio" in cui senza sosta si dispiega ogni nostra esistenza.

P. Gregory, 20 Ottobre 2014

Dottoranda: Roberta CAUSARANO -  XXV ciclo

Titolo della tesi: Sviluppi del pensiero sistemico nell’architettura contemporanea. Il principio di organizzazione/autorganizzazione nel processo progettuale

Tutor: Paola Gregory

 

La dissertazione di Roberta Causarano, incentrata sualcune delle ricerche architettoniche contemporanee legate alla “rivoluzione informatica”,  affronta il difficile tema  del “processo progettuale” con un ampio respiro critico e un'articolata capacità metodologica, nell’intento di ripercorrere l’emergere di un nuovo paradigma che, nella reciproca influenza fra arte, pensiero e tecnica – memoria delle ragioni originali della Τέχνη greca (come ποίησις ed ἐπιστήμη) – fornisce  nuovi orizzonti di sviluppo all’architettura.   

“Il modo in cui l’uomo modifica la natura – si legge nella tesi  – è inevitabilmente il riflesso di un pensiero più ampio che caratterizza ogni epoca”; dunque  anche “l’architettura come ogni forma d’arte […] è immagine della sua epoca e conseguenza dei mezzi espressivi disponibili”, rispetto ai quali – ci ricorda – è sempre connaturata e circolarmente implicata. Per questo motivo, nel dare inizio alla dissertazione, la dottoranda pone,  come questione centrale dell’architettura attuale,  “il problema della tecnica”. Percorrendo alcune delle riflessioni filosofiche e scientifiche sviluppate nel corso del XX secolo, la Causarano giunge al dibattito più recente, dove, fra le opposte posizioni dei “tecnoscettici” e dei “transumanisti”,  intravede la possibilità di risposte più articolate e sfocate, capaci di includere al proprio interno orientamenti più complessi.

Proprio per conferire maggiore spessore a un dibattito spesso superficialmente trattato o svilito nelle sue implicazioni più profonde, Roberta Causarano sceglie, come luoghi di una possibile genealogia delle tendenze attuali, le posizioni assunte da due grandi protagonisti del pensiero del’900:  Martin Heidegger e Werner Heisenberg che,in occasione di un ciclo di conferenze organizzate a Monaco nel 1953 dal titolo “Le arti nell’età della tecnica”, ebbero occasione di confrontarsi  “per comprendere quali  fossero i veri pericoli posti dal progresso tecnico e quali le soluzioni”. Al di là della diversa prospettiva di partenza che sembra inconciliabile, la Causarano individua una possibile zona di convergenza fra le due posizioni,  attribuibile a quell’idea della tecnica come “possibilità di salvezza […] per ritrovare un rapporto più autentico con la natura e con l’essenza stessa dell’uomo”. Da un lato, il carattere ambiguo del Ge-stell (imposizione) attraverso cui Heidegger dispiega l’essenza della tecnica moderna , dove il disvelamento originario (dell’essere) diviene possibile solo tramite l’arte come pro-duzione (ovvero della Τέχνη come ποίησις), dall’altro, l’affermazione di Heisenberg  della “tecnica come strumento in vista di un ordine fondato sulla consapevolezza del limite”, dove  il limite è quello che la nuova scienza (con la teoria della relatività e la microfisica quantica) trova nell’oggettivare il mondo naturale, entrambi  costituiscono per la Causarano punti di partenza fondamentali: lenti d’ingrandimento tramite cui dipanare la complessità delle ricerche architettoniche più recenti che, attraverso gli sviluppi della cibernetica e del pensiero sistemico, si traducono in logiche di organizzazione per la generazione del progetto. 

Partendo da alcune elaborazioni degli anni Sessanta  - quelle dei Metabolisti, di Fuller, di Otto, degli Archigram (per citarne alcuni) - che ponevano una nuova continuità e contiguità fra logica meccanica e logica organica, fra manufatto – inteso come organismo - e ambiente, la Causarano sviluppa il tema del rapporto fra “tecnica, materia, forma” attraverso il pensiero della complessità che, nato nell’alveo delle cosiddette scienze della complessità (puntualmente analizzate), si alimenta, da un lato, del pensiero filosofico (in particolare quello di G. Deleuze), dall’altro delle nuove tecnologie digitali che quella complessità consentono di osservare-interpretare-simulare-realizzare.

Sono soprattutto queste ultime a imprimere – nella “visione del mondo” propria della nostra epoca – “lo spostamento dal paradigma meccanico a quello elettronico” (Eisenman), non solo perché – scrive Roberta Causarano – consentono di rappresentare e controllare forme molto complesse,  ma soprattutto perché “modificano profondamente le modalità temporali e spaziali dell’intero processo progettuale: introducono multiple e differenti variabili […]; azzerano il tempo lineare introducendo simultaneità e istantaneità; creano nuove configurazioni ibride, trovando spesso nella natura non solo una fonte d’ispirazione, ma un modello da replicare; modificano profondamente, attraverso le più recenti tecnologie CAD/CAM, il rapporto fra concezione ed esecuzione del progetto”.      

Ricordando la differenza fra la computerization (informatizzazione), tipica del processo progettuale degli anni’80 basato sull’elaborazione o memorizzazione di informazioni predeterminate, e la computation (calcolo) sviluppata dalla seconda metà degli anni’90 per delineare possibili processi generativi con metodi logico-matematici, la Causarano si inoltra nell’analisi degli algoritmi genetici come modelli di generazione della forma architettonica, attenta a comprenderne i possibili risvolti in relazione alla “creatività umana”.

Di fatto , sottolinea (richiamando K. Terzidis) “le logiche computazionali non sostituiscono la creatività, ma ne ampliano le possibilità, fornendo gli strumenti per esplorare e sperimentare campi altrimenti inaccessibili”.   La tecnica svolge dunque, in queste situazioni, un ruolo fondamentale e, tuttavia, la progettazione non può essere considerata un’attività esclusivamente tecnica : “la tecnica è (e resta) - per Roberta Causarano - uno strumento a servizio dell’immaginario dell’architetto”, di cui è essa stessa “espressione” , facendo parte integrante della cultura e della società in cui l’architetto abita e dispiega la sua opera.   

Fra tecnica, materia e forma - intese con Focillon nell'unità indissolubile di concezione ed esecuzione - si produce un' interrelazione sempre maggiore, esplicata dalle più recenti frontiere della progettazione digitale: si tratta di quel continuum digitale che consente oggi di integrare il momento della progettazione con quello costruttivo,  la morfogenesi computazionale – capace come la morfogenesi naturale di organizzazioni complesse “auto-organizzate” – e la digital fabrication sempre più attenta all’individualizzazione del prodotto.  E’ all’interno di questo continuum che vengono analizzate alcune delle ricerche progettuali più innovative, distinte – per maggiore chiarezza metodologica - in due grandi “categorie”:  l’una definita come “performatività virtuale” a sottolineare la centralità o prevalenza  della morfogenesi  computazionale e delle tecniche di progettazione digitale a carattere generativo, di cui fanno parte architetti come i F.O.A., J. Frazer, A. Menges, K. Chu, G. Lynn; l’altra definita come “performatività reale” a chiarire il principio “autopoietico” o “auto-produttivo” (richiamando Maturana e Varela) che contraddistingue le reti  viventi.  Si tratta di artefatti capaci di adattamento e cambiamento, che pongono alla propria base l’idea di un “accoppiamento strutturale” (e dunque circuitale) fra manufatto (organismo) e ambiente. Come  avviene nei “sistemi robotici ed evolutivi per l’architettura” di R&Sie(n), negli “ipercorpi” di Oosterhuis, nella “Maching Architecture” di Spuybroek, ma anche nelle “ecologie elettroniche” di Ito o in alcune architetture effimere di Diller+Scofidio+Renfro, gli ultimi orizzonti dell'architettura esprimono la possibilità che l’intero sistema sia in grado di “andare continuamente incontro a cambiamenti strutturali" mantenendo al contempo - come scrivevano Maturana e Varela - il proprio modello reticolare di organizzazione”.

Il lavoro della Causarano è debitore della saggistica di numerose discipline (architettura, scienze,  filosofia, estetica) e la tesi si sviluppa con riferimenti ampi e specifici per dare un contributo all’attuale dibattito architettonico, sapendone trovare alla fine anche la giusta distanza critica. Il capitolo conclusivo sul rapporto fra tecnica ed etica richiama infatti il principio di responsabilità, con il quale ogni opera architettonica deve costantemente confrontarsi.

Roma, 24 Ottobre 2013

Premio ETIC 2013-2014

 

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