La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
- Einstein
La crisi delle dimensioni fisiche, come crisi della misurazione, va di pari passo, come è facile comprendere, con la crisi del determinismo e riguarda, oggi, l’insieme delle rappresentazioni del mondo
- Paul Virilio
“...une même ville regardée de différents côtés paraît tout autre, et est comme multipliée perspectivement”
- G. W. Leibniz

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

M.L. Barelli, P. Gregory, Comunità in movimento. Immaginare forme condivise di sviluppo nelle aree periferiche delle città. Intervento al Convegno "Invito alla storia", AIPH, S.M. Capua Veter-Caserta, 24-28 Giugno 2019

Nell'ambito del Convegno internazionale "Vous avez dit espace commun? Nouvelles pratiques, éthiques et formes sensibles de gouvernance de la ville et du territoire" , ENSA Saint-Etienne (20-22 Nov. 2019), presentazione del progetto "Qui Abito. A partire dalla scuola: storie di famiglie e di quartiere per immaginare il futuro della comunità", progetto vincente del Bando di Concorso "AxTO" – Azioni per le periferie torinesi, finalizzato all’assegnazione di contributi per la rigenerazione urbana – coordinato dall’Associazione Cliomedia Public History (Associazione di Promozione sociale) insieme all’Istituto Comprensivo D.M. Turoldo (unico Istituto presente nel quartiere Le Vallette) e portato avanti con diversi partner[1] per attivare, attraverso corsi, visite e laboratori didattici, non solo una conoscenza storica e geografica del territorio per cogliere una identità dei luoghi forgiata dalla loro sedimentazione nello spazio e nel tempo, ma anche una memoria viva del quartiere segnata dai ricordi e dalle rappresentazioni individuali e collettive, ripercorse sia attraverso i racconti degli abitanti (a partire dagli studenti e dalle loro famiglie), sia attraverso le pratiche di gioco (del passato e del presente) ripensate quali occasioni ludiche di socializzazione e modalità conviviali per possibili rivitalizzazioni di spazi comuni oggi degradati, stimolando forme condivise di cambiamento.

 



[1] Insieme a Cliomedia Public History, all’Istituto D.M. Turoldo e al Politecnico di Torino, Dipartimento di Architettura e Design per conto del quale le scriventi sono le responsabili scientifiche, hanno collaborato al progetto: il Centro di Documentazione Storica ed Ecomuseo della Circoscrizione 5; l’Associazione Manal Insieme per l’Integrazione Onlus; la Casa di Quartiere Vallette.  Per approfondimenti, cfr. https://www.quiabito.it/

 

   

 

 

Relazione tenuta il giorno 04-10-2020 nell'ambito del Programma "Archifest. Abitare il mondo altrimenti" - Talks "Illuminare Michelucci per vedere la città", presso il MARS Spazio Michelucci, Colle Val d'Elsa (FI).

Link: https://www.youtube.com/watch?v=E34aivCm0lk

 

 

Allegati:
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Scarica questo file (200826_MARS_ARCHIFESTI_Programma_completo.pdf)Programma del Festival 


Temi del convegno

Partendo dal dibattito suscitato da alcune recenti iniziative promosse da Atenei italiani (Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Università degli Studi Federico II di Napoli) sul rapporto fra "Architettura e Realismo", orientate nel senso di una riposta condivisione delle tesi portate avanti  M. Ferraris con il suo Manifesto del nuovo realismo (2012), il convegno romano intende proporre come nucleo centrale del dibattito il confronto e il rapporto imprescindibile fra "nuovo realismo" e "postmodernismo", dove quest'ultimo, lungi dall'identificarsi con la definizione disciplinare corrente di “architettura postmoderna”, intende piuttosto evidenziare l'esplosione di quella vasta rivoluzione culturale che ha caratterizzato il tentativo - da parte della cultura occidentale - di prendere coscienza dei mutati presupposti materiali-tecnologici-economici e di far a essi corrispondere una diversa etica ed estetica, basata innanzitutto - nella crisi dei “grandi racconti” fondanti (F. L. Lyotard) - su un'accresciuta consapevolezza della relativizzazione e pluralizzazione culturale.

Ripercorrendo alcune tesi di Ferraris, esposte nel suo Manifesto e prima ancora in testi quali Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (2009), il ritorno al realismo sarebbe conseguenza della pesante smentita dei due "dogmi" principali del postmodernismo: l'idea che la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile e che la verità e l'oggettività siano nozioni inutili. "L'esperienza storica dei populismi mediatici, delle guerre post 11 settembre e della recente crisi economica" sono per Ferraris l'esito di una drammatica realizzazione dell'utopia postmoderna che, basata in origine su principi quali liberazione, affrancamento, indipendenza, libertà, si manifesta oggi "come un utopismo violento e rovesciato", come "uno strumento di asservimento" o ancora come "un progetto di dominio o mistificazione". "Il postmodernismo si ritrae filosoficamente e ideologicamente, non perché abbia mancato i suoi obiettivi ma, proprio al contrario, perché li ha centrati sin troppo bene" (2012): infatti, ponendo alla propria base "il primato delle interpretazioni sui fatti", ha costituito, anche se involontariamente, un fondamentale fiancheggiamento ideologico degli sviluppi che hanno condotto alla situazione attuale.

Oggi le necessità reali che - scrive Ferraris - "non sopportano di essere ridotte a interpretazioni, hanno fatto valere i loro diritti, confermando l'idea che il realismo (così come il suo contrario) possieda delle implicazioni non semplicemente conoscitive, ma etiche e politiche" (2012).

Il Manifesto e le tesi di Ferraris intendono, dunque, rimettere al centro della riflessione filosofica, e non solo, la questione del rapporto con la realtà, la sua "inemendabiltà", la sua indipendenza rispetto alle infinite possibili interpretazioni, traduzioni e tradimenti. Ed è proprio questa ricerca e richiesta di realtà ad aver interessato gran parte della cultura architettonica attuale, che fra tutte le arti è certamente "la più duratura delle scritture".

L'architettura infatti, come scrive Ferraris in Documentalità, produce documenti, peraltro durevoli (se non perenni) e questa caratteristica la pone come un luogo di indubbia resistenza: lascia tracce e conserva tracce, divenendo "supporto per l'eternizzazione di un oggetto sociale", dove questo - al contrario di un "oggetto naturale" - sussiste "solo nella misura in cui le persone sanno che esiste". Fra le possibili modalità di registrazione degli oggetti sociali, l'architettura è dunque  particolarmente importante perché produce oggetti concreti, tracce immanenti che sono iscrizioni durevoli, capaci di sopravvivere molto più a lungo di altri documenti (o scritture) prodotti dall'uomo.

La questione della durata pone come suo corollario quello della responsabilità dell'architettura e degli architetti, interpreti di una collettività che deve rappresentarsi. In questa ottica parole chiavi dell'architettura diventano: ragione/razionalità/ragionevolezza, soggettivo/collettivo, trasmissibilità, appropriatezza e indirizzano verso una teoria della normalità contro l'eccezionalità, ovvero contro quella ricerca di "straordinario" con cui spesso si è identificata - e si è voluta identificare - ampia parte della produzione più recente.

Si tratta di una questione a lungo dibattuta, che vede contrapposti fra loro schieramenti diversi: da una parte chi, come Vittorio Gregotti, ha sempre accusato il postmodernismo di "progressiva disgregazione degli impegni critici della cultura di fronte allo stato delle cose”, disgregazione che apparterebbe a quella “funesta, anche se storicamente propria” “categoria del postmoderno” in cui “è solo ammesso […] l'orgoglio della dissoluzione” (2008); dall'altra chi, come Charles Jencks (per restare nell'ambito di una elevata produzione della critica e teoria architettonica internazionale), pur assumendo posizioni nel tempo diverse, ha continuato a difendere la pluralità delle visioni, lo scarto prodotto nell'architettura dalle nuove "indeterminatezze" filosofiche e scientifiche, affermando come il postmodernismo (1977), il "critical modernism" (2007) e il "Radcal post-modernism" (2011) abbiano in realtà liberato l'architettura dai condizionamenti ortodossi del modernismo, favorendo correlazioni polimorfe, capaci di sostenere accanto all'eterogeneità, alla discontinuità e alla differenza nella cultura e nella storia, anche valori innovativi, improntati a un nuovo rapporto del soggetto (non più inteso come modello normativo) con i mondo.

Del resto l'idea che il nostro orizzonte di senso non sia più sostenuto da metateorie, se da un lato ha aperto alla frammentazione, dissociazione, ibridazione e interpretazione continua dei fatti, dall'altro ha prodotto anche l'emersione di valori diversi, spesso distanti o allontanati dalla cosiddetta cultura alta, quali la plurivocità, il diverso, il difforme: valori che inducono a riconoscere quale essenza del Wesen del postmodernismo (nell'arte e nell'architettura) il senso di "spaesamento" dell'esperienza estetica che, come scriveva Gianni Vattimo, "è costitutivo e non provvisorio” dell'opera d'arte, non più centrata sull'opera (oggetto) ma sull'esperienza.

E' dunque in questo rinnovato rapporto (spesso spaesante) soggetto/oggetto in cui il soggetto è innanzitutto il fruitore dell'opera, che il postmodernismo ha prodotto quello "alleggerimento dell'essere" che, spostando l'interesse dalla struttura dell'oggetto al suo carattere evenemenziale, interrelazionale, metamorfico, ha finito per opporsi alla stabilità strutturale del dato, affermando e dispiegando una pratica della differenza, dell'alterità, del continuo divenire.

Se questo è, potremmo dire, lo stato delle cose, alcune questioni appaiono nell'architettura immediate e in attesa di nuovi approfondimenti. In particolare, la questione nell'architettura riguarda proprio il rapporto del progetto con la realtà: questa, definita dal nuovo realismo come un dato inemendabile, ponendo la questione dell'oggetto e della sua oggettività, sembra orientarsi verso un'idea di "intrasformabilità" del mondo che pone l'io - e in particolare il lavoro dell'architetto - in una rassegnata accettazione dell'esistente.

Come corollario, il progetto viene portato a esibire (secondo un principio di liberazione dal superfluo e di limitazione a un nucleo centrale di problemi) il processo logico (o analogico), piuttosto che le sue qualità formali di oggetto estetico, esaltando i contenuti comuni, condivisibili perché già accertati, e l'aspirazione a una poetica che vorrebbe essere quella della "pura ragione".
Da ciò è discesa nel passato e discende oggi, in alcune interpretazioni italiane del realismo, una tendenziosa equivalenza fra nuovo realismo e razionalismo e in particolare, nell'ambito architettonico, fra nuovo realismo e neo-razionalismo, secondo la declinazione della tradizione disciplinare degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso. Tuttavia quanto i due concetti realismo e (neo)razionalismo siano assimilabili e se quest'ultimo nella sua astrazione possa fungere da metodo per un’architettura realistica, e perciò "concreta", è una questione dibattuta con esiti molto controversi. Potremmo ricordare, a questo proposito, quanto nell'immediato secondo dopoguerra il "neo-realismo" abbia portato di fatto verso una posizione contraria e antitetica: non solo verso un localismo o regionalismo del linguaggio architettonico - opposto all'idea di uniformarzione-omologazione-standardizzazione propria del razionalismo - ma anche verso una rappresentazione del dramma vissuto, da cui l'architettura avrebbe dovuto ripartire.

Oggi declinazioni diverse del realismo e di postmodernismo si confrontano e si oppongono fra loro. Saranno queste a essere dibattute durante il convegno, il cui confronto con la filosofia non attende risposte certe, piuttosto la capacità di riuscire anche a "contraddirsi senza annullarsi".

Paola Gregory

 

Video registrazione del convegno

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Scarica questo file (locandina programma.pdf)Programma Convegno 

Maurizio Ferraris

 

Si direbbe che ogni stagione filosofica abbia avuto, nel Novecento, un corrispettivo architettonico, o viceversa. Nel caso del postmodernismo, l’architettura ha preceduto la filosofia. Nel caso italiano del debolismo è la filosofia che sembra avere ispirato l’architettura. Come stanno le cose per il nuovo realismo? E, indipendentemente da questioni di precedenza, quali sono le ragioni dell’alleanza o corrispondenza tra architetture e filosofie nuovorealiste?

Pasquale Belfiore

L’architettura del nostro tempo non diverrà l’architettura del tempo a venire (ne resterà deluso Mark Strand che aveva scritto: Nessuno se ne avvede, ma l’architettura del nostro tempo diviene l’architettura del tempo a venire). Non lascerà tracce rimarchevoli perché: è figlia delle avanguardie iconoclaste del secolo scorso; nel Novecento, non è stata  (deliberatamente) la più duratura delle scritture; la specializzazione tipologica ha accorciato la vita degli edifici, lo zooning quella  delle città moderne; l’affermarsi (sacrosanto) dei temi della sicurezza, dell’eco-compatibilità e del risparmio energetico metterà fuori gioco e fuori legge gran parte del costruito; tra materiali non durevoli o sperimentali, tipici della contemporaneità, rischiamo la perdita delle “cose” dell’architettura. Lascerà tracce non significative se continuerà a diffondersi la cultura della tutela e della conservazione. 

 

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