La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
- Einstein
La crisi delle dimensioni fisiche, come crisi della misurazione, va di pari passo, come è facile comprendere, con la crisi del determinismo e riguarda, oggi, l’insieme delle rappresentazioni del mondo
- Paul Virilio
“...une même ville regardée de différents côtés paraît tout autre, et est comme multipliée perspectivement”
- G. W. Leibniz

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

Dottorando: Simone Di Benedetto, XXVII ciclo

Titolo della tesi: "Vuoti a rendere". Riflessioni sul ruolo dello spazio intermedio nella residenza urbana  romana

Tutor: prof. Paola Gregory

Co-tutor: prof. Rosalba Belibani

 

Partendo dalle profonde modificazioni delle relazioni intercorrenti tra spazio pubblico e spazio privato, con un progressivo prevalere del secondo sul primo, e dalla deflagrazione del pubblico in un’infinità di situazioni minute (C. Bianchetti), la dissertazione di Simone Di Benedetto intende riflettere su quegli spazi aperti intermedi che si confrontano con la residenza urbana per prossimità, dimensione, forma e pratiche sociali. Si tratta di luoghi e tasselli a volte non configurati, altre volte sottratti nel tempo alla leggibilità e agli usi originari o semplicemente dimenticati: "vuoti a rendere" che attendono nuove possibilità per essere abitati, usati, attraversati, diversamente praticati.

Al declino del concetto di pubblico (descritto da H. Arendt e R. Sennett) si sostituisce, dunque, la ricerca di un nuovo spazio collettivo, alla scala residenziale, dal carattere sempre più mobile e dai confini sempre più labili, capace di promuovere nuove e impreviste possibilità di aggregazione, di operare come una trama discreta che sottende, supporta e intensifica nodi adeguati d'interconnessione. "Luoghi del contrappunto, della sincope, della pausa", li definisce Di Benedetto, che, nella sovra-eccitazione nervosa tipica della vita metropolitana, sappiano ritagliare e istituire di nuovo il senso dell'essere-in-comune, ripartendo dalle possibilità originarie del "fare esperienza" condivisa, per innestare le diverse storie private nella sfera pubblica o semplicemente collettiva.

L’obiettivo di tale lavoro non è la ricerca di posizioni definitive o assertorie per indicare auspicabili soluzioni, né la tesi intende confrontarsi con un panorama vasto di riferimento teorico-operativo. Piuttosto si tratta di focalizzare l’attenzione su quegli spazi liminari delnostro habitat quotidiano, la cui riqualificazione – per lungo tempo disattesa – è oggi tornata all’attenzione delle politiche urbane, ai fini di una rigenerazione (sociale ed economica)  dei tessuti esistenti: una rigenerazione che richiede, a volte, piccoli interventi per innescare processi di auto-rinnovamento, ovvero per ricucire o saldare frammenti o filamenti rimasti muti nel tempo.Volendo confrontarsi con spazi “di vicinato” all’interno dei quartieri costruiti nel corso del XX secolo, il dottorando preferisce focalizzare la propria attenzione sulla sua città – Roma – la cui conoscenza, come architetto sul campo e comune abitante, gli consente di tracciare puntuali ricognizioni, venate talvolta da una vera e propria passione discorsiva. Vengono, in tal modo, evidenziati i  i momenti più salienti (in positivo o in negativo) della costruzione dello spazio pubblico residenziale: quello spazio intermedio - tra le case - o spazio dell’in-between o dell’entre-deux che consente, nel proficuo relazionarsi degli edifici e degli abitanti fra loro, così come degli insediamenti rispetto al vacuum dello spazio urbano, di oltrepassare quel limite fisico/psicologico/sociale – talvolta costruito nel tempo, talvolta indotto (se non imposto) dalla stesse politiche di pianificazione urbana – che, nella difesa di un’identità, ha spesso costruito barriere più o meno percettibili alle nostre pratiche di convivenza  quotidiana.

Ripercorrendo brevemente la storia di molti dei tessuti residenziali moderni e contemporanei, tipici dello sviluppo di Roma capitale – dagli spazi “a misura d’uomo” degli isolati residenziali di fine Ottocento-primi Novecento alla deflagrazione dello spazio interstiziale nell’esplosione della palazzina; dalla ricerca di uno spazio intermedio nella stagione dell’INA Casa, adatto alle nuove esigenze degli immigrati, alla sua desertificazione prodotta dai grands ensembles degli anni Settanta-Ottanta, fino alle recenti sperimentazioni sulla porosità dello spazio residenziale e sulla rivalutazione della dimensione ecologico-relazionale degli insediamenti umani, nell’ottica tracciata dal “giardino planetario” di G. Clément – Di Benedetto ci conduce per mano alla scoperta di spazi a volte nascosti (una Roma sparita, si potrebbe dire), altre volte emblematici dell’immaginario collettivo, dimostrando un’attenta conoscenza delle dinamiche costitutive della città e delle sue parti, restituite attraverso un’esperienza diretta, supportata, anche, da precise analisi storico-critiche e archivistiche.

Senza nascondere la sua posizione – più volte ribadita attraverso il riferimento, sempre presente, all’opera teorica e progettuale di Jan Gehl– il dottorando prosegue con l’individuazione di alcune possibili categorie di lettura dello spazio intermedio, in cui diventano centrali, nel rapporto inside/outside, la questione dei limiti, delle soglie, del suolo come palcoscenico urbano.

Attraverso alcuni recenti esempi d'intervento volti alla rigenerazione degli spazi collettivi "fra" le case, la dissertazione individua strategie progettuali ricorrenti – quali la porosità del costruito e la rimodellazione del suolo, l'infilling e il grafting, l'ibridazione morfologica e il "rammendo urbano" – e alcune parole-chiave quali "azione, tattica, innesto" – dal mapping digitale alle Tactical actions –  per "individuare quei processi virtuosi che reinterpretano lo spazio aperto come bene comune".

A chiusura della tesi, alcuni temi d'intervento nella realtà romana si propongono di visualizzare, attraverso concepts metaprogettuali, le riflessioni proposte,  evidenziando l'atteggiamento pragmatico del dottorando nei confronti del progetto, indagato dal punto di vista delle sue capacità di orientare ‘sul campo’ possibili scenari d’intervento.

P. Gregory, Torino, 18 Luglio 2017

 

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