La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
- Einstein
La crisi delle dimensioni fisiche, come crisi della misurazione, va di pari passo, come è facile comprendere, con la crisi del determinismo e riguarda, oggi, l’insieme delle rappresentazioni del mondo
- Paul Virilio
“...une même ville regardée de différents côtés paraît tout autre, et est comme multipliée perspectivement”
- G. W. Leibniz

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein
Dottoranda Alessia Vitali XXV ciclo
Titolo della tesi: Archeofagia contemporanea_Assimilazione, incorporazione e rigenerazione della città archeologica
Relatori: Giorgio Di Giorgio e Paola Gregory
 
 
Alessia Vitali dispiega la sua tesi dottorale lungo il tema del rapporto tra i lasciti del passato e il fare architettura.
Tema che circoscrive al rapporto tra Archeologia e Architettura. Si inoltra quindi in un terreno complesso dove due discipline si confrontano ciascuna con il proprio statuto o meglio con i propri statuti.
Evitando il rischio e la presunzione di definire un iper-statuto dell’architettura, dell’archeologia e del restauro, Alessia Vitali segue un percorso dal basso e certamente tendenziale.
La descrizione e l’analisi del rapporto tra architettura e passato prende le mosse da realtà che appaiono inconciliabili: la Berlino di Oswald Mathias Ungers (1977), la New York di Rem Koolhaas (1978), la città archeologica di Roma di C. Aymonino (1976-85). Quali sono i fili sottesi a questi diversi esperimenti, il cui fattore unificante sembra essere soltanto quello temporale? La tesi si dispiega come un viaggio che lungo il suo percorso intende riannodare (almeno in parte) refi che appaiono disgiunti. 
Per questo Alessi Vitali - una volta definiti i caratteri salienti di quegli esperimenti - si inoltra nell'analisi della città di Roma, campo privilegiato - ed emblematico - di un confronto mai pacificato fra antico e nuovo,  dove l'antico è innanzitutto lo strato archeologico della città  - lo strato ora "visitato" e dunque consacrato, ora "schivato" (secondo le definizioni della dottoranda) - che affiora nella metropoli contemporanea. Qui, dopo un breve excursus sulla recente programmazione urbanistica della "città storica" e in particolare archeologica, carente - si ravvisa - di una sufficiente articolazione semantica, la tesi sembra virare sul carattere fruitivo della città archeologica: un carattere di tipo ricettivo-turistico-culturale che, avendo perso la sua utilitas si è trasformata "da contenitore a contenuto". “Museificare - scrive la Vitali -  sembra essere infatti l’unica risposta alla conservazione e all’apprezzamento delle preesistenze archeologiche", ma il processo di museificazione produce con esse uno scarto e uno iato difficilmente ricomponibile: "la vita contemporanea le lambisce solamente, le guarda da lontano ma non le vive", trasformando spesso le loro "presenze fisiche" in altrettante "assenze fruitive".  
La dialettica fra presenza e assenza, ancora parzialmente esistente nella "città archeologica visitata", scompare nella "città archeologica schivata",  la città disseppellita e dimenticata, che si frappone come "uno scoglio urbano" al fluire della città contemporanea. E' qui, in particolare, che il progetto architettonico potrebbe - dovrebbe - intervenire, per restituire a quelle laconiche assenze una nuova vitalità e presenza, alimentata da un rinnovato interscambio con la città attuale, dove questa – come scrivevano Ungers e Aymonino - esibisce sempre "contraddizione e conflittualità" ovvero "accumulo" come possibilità del superfluo. Stratificare, addensare, incorporare e persino "cannibalizzare" - riprendendo Koolhaas - significa per la Vitali ricercare "un nuovo layer contemporaneo, una rete che unisce nodi incorporanti", dove questi ultimi "corrisponderanno all'intersezione o ai punti di tangenza sia fisici che programmatici della città archeologica con la città contemporanea".
Il rapporto fra antico e nuovo è dunque innanzitutto da ricercarsi alla scala urbana, dove l'assimilazione - nella provocatoria definizione di "archeofagia" - testimonierebbe "un'incorporazione che dà corpo all'altro", una "uni-dualità" senza egemonie.  
 
A questo punto, il nodo del rapporto con il passato sembra complicarsi: la ricerca si sposta sull’indagine dei singoli reperti, per comprendere il valore dei lasciti.  Valore storico e valore estetico diventano, così, le due principali istanze attraverso cui rileggere alcune delle teorie e delle pratiche del restauro più consolidate. Dimostrando una discreta conoscenza dei riferimenti dottrinari, Alessia Vitali ne ripercorre brevemente alcuni momenti principali, richiamando, accanto al "restauro scientifico" proposto da Camillo Boito e Gustavo Giovannoni fondato sul valore testimoniale (quindi materico) dell'opera, sia il "restauro critico" basato, come scriveva Cesare Brandi (1963), sul "riconoscimento dell'opera d'arte, nella sua consistenza fisica e nella sua duplice polarità storica ed estetica, in vista di una sua trasmissione al futuro”, sia il "restauro critico e creativo" che, promosso da Roberto Pane (1944) in alcune situazioni di particolare degrado e mutilazione dell'opera (a causa innanzitutto delle distruzioni belliche), rappresenta una  possibilità d'intervento per “attribuire una forma estetica” – come ricordava, richiamando Pane, Renato Bonelli (1953) – “al monumento che ne è ormai privo, realizzando cioè un’opera tale che riesca insieme antica e moderna”. Un’opera di restauro, dunque, che è valutazione critica e creazione artistica insieme, che “non ammette regole fisse e norme estrinseche, ma solo l’aderenza alla concreta singolarità di ogni caso” (Bonelli, 1958 ) ovvero, come chiarisce Giovanni Carbonara (1976), che  sia in grado di ricostituire l'intero ricucendo i frammenti in una "rispettosa unità figurativa" per renderli "parti leggibili di un discorso critico e di un'espressione formale nuova, attuale e autentica".
E’ dunque in riferimento al singolo caso e al grado di conservazione presente, che la Vitali articola il patrimonio archeologico in tre possibili stadi: "l'intero" ovvero il monumento che possiede ancora l’unità figurativa dell’opera originale; la “parte" o frammento, intesa secondo la Gestaltpsychologie, come “una suddivisione che si adatta alla forma del tutto”, “forma auto-sistemica” – la definisce Alessia Vitali - in cui è ancora presente un riferimento all’intero”; il “pezzo" o lacerto la cui condizione arbitraria di sezione ne esclude, a differenza delle altre due, qualsiasi valore estetico. E’ in queste due ultime categorie, che la Vitali ravvisa la possibilità di un progetto: un progetto che diviene tendenzialmente di museificazione per la “parte” e di integrazione per il “pezzo” dove, nel rispetto del suo valore testimoniale, si può aprire la possibilità di uno sguardo critico e creativo che ne tenti una nuova ri-vitalizzazione, una integrazione in grado di ri-attualizzare un valore artistico ormai perduto.  
In questa tripartizione (evidentemente tendenziosa e non sempre chiaramente delimitabile ed esplicita) Alessia Vitali introduce con acume una “trans-categoria”: la “rovina”, tema caro al pittoresco inglese che giunge sino a noi con rinnovata attualità. La rovina – rappresentazione dello scambio continuo fra natura e artificio,  compenetrazione fra il tempo della natura e la storia dell’uomo – lascia spazio all’immaginazione, rendendo pericolosa qualsiasi idea di restauro (tradizionalmente inteso) che rischierebbe di annullare – sottolinea Marc Augé – la temporalità dell’opera, lo scarto “fra un tempo passato, scomparso, e una percezione attuale, incompleta”. La rovina, espressione di “un tempo puro”, costituisce allora un possibile orizzonte di senso del progetto architettonico contemporaneo che, intervenendo sull’antico, dovrà lasciare spazio alla fantasia, a quell’imago che rende vivida la presenza di un tempo lontano, attualizzandola nell’esperienza.
Ma la rovina, ci ricorda la Vitali, non è solo rivelazione estetica di un patrimonio culturale. Essa è anche espressione concreta di un valore economico: una risorsa economica, che idee quali quelle di brand e branding, competitive advantage, insieme a creative class e soft power (temi volutamente provocatori nello specifico settore d'indagine) potrebbero  coadiuvare a valorizzare.         
Appartenendo appieno al suo tempo, Alessia Vitali è lontana da visioni ideologiche e, immedesimandosi nel fruitore-consumatore, analizza le ricadute economiche (marchio, comunicazione, pubblicità) dei lasciti archeologici. Si apre così un altro campo indagine dove monumenti, frammenti, resti archeologici e rovine diventano in quanto "beni culturali" anche beni di consumo. 
Immessi - come nodi - in una rete virtuale e attuale, sia economica che sociale, i siti archeologici possono così ri-articolarsi secondo nuove mappe e territori strategici che, traendo alimento dalla connessione globale, ne ridisegnino anche il ruolo locale. "La conoscenza e la valutazione della nuova economia e dei nuovi assetti sociali devono [dunque] - secondo la Vitali - essere parte delle pratiche di ri-pensamento della città contemporanea", non contrapposta ma complementare e dialogica con i lasciti archeologici, sempre più potenziali attrattori di uno sviluppo economico-sociale-culturale che è locale e globale insieme. In questo "sistema" di valorizzazione, che risponde a una geo-politica economica capace di mediare fra esigenze di radicamento e universalizzazione, fra istanze di conservazione e innovazione, trova spazio l'intervento contemporaneo sull'antico (per la fruizione e la rifunzionalizzazione, per la valorizzazione culturale ed economica, per la comprensione storica della città, del territorio, ecc.) in una assimilazione che, negli esempi analizzati (Biblioteca civica di Bologna, Museo Kolumba a Colonia, Piazza a Motta di Livenza, Tempio-Duomo di Pozzuoli) appare "senza egemonie, in un'incorporazione - come scriveva De Andrade - che dà nuovo corpo all'Altro". 
Attraverso questi progetti esemplificativi, Alessia Vitali ritrova anche la misura e la distanza entro cui osservare le preesistenze (archeologiche e non), condizione e operazione imprescindibile per la valutazione di ogni tipo di "investimento" che può riguardare scale di approccio e sistematizzazione diverse: dall'architettura alla città, dal paesaggio sino al globo terrestre. 
 
Infine una notazione sulla scrittura della dissertazione: il modello letterario è certamente il pamphlet, che ben si adatta a denunciare l’acceso conservatorismo del nostro paese in materia di beni archeologici e che si traduce, molto spesso, in un immobilismo paralizzante.
 
Roma, 24 Ottobre 2013
 
 
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