La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
- Einstein
La crisi delle dimensioni fisiche, come crisi della misurazione, va di pari passo, come è facile comprendere, con la crisi del determinismo e riguarda, oggi, l’insieme delle rappresentazioni del mondo
- Paul Virilio
“...une même ville regardée de différents côtés paraît tout autre, et est comme multipliée perspectivement”
- G. W. Leibniz

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

Dottoranda: Ilaria Cotrufo, XXV ciclo

Titolo della tesi: Co-abitare la differenza. Il perturbante nello spazio pubblico aperto della contemporaneità

Tutor: prof. Paola Gregory

Co-tutor: prof. Alessandra De Coro

 

Ilaria Cotrufo sviluppa la sua tesi dottorale, incentrata sullo spazio pubblico aperto contemporaneo, attraverso il ricorso a una categoria psicanalitica  e filosofica - quella del "perturbante" - per ripercorrere le ragioni, nonché l'esegesi, di alcune sperimentazioni recenti, in cui subentrano dispositivi progettuali in grado di sconvolgere forme identitarie acquisite e assetti consolidati, per accogliere con una "rottura dell'essenza"  la convocazione ineludibile che proviene dall'alterità.
Il perturbante - chiarisce la Cotrufo - è infatti ciò che mette in crisi il soggetto (individuale o collettivo), perché mette in discussione la stessa possibilità di definire l'identità escludendo la diversità e, tuttavia, l'esperienza dello straniamento, della destabilizzazione, del decentramento da esso indotto, potrebbe rappresentare un'opportunità, un orientamento per laricomposizione di una nuova "identità problematica" attuata attraverso un processo di "individuazione" (nel senso attribuito da Carl G. Jung) capace di includere l'alterità.
E' questa la tesi che la dottoranda tenterà di dimostrare lungo la sua dissertazione, con riferimenti sia alla storia dell’architettura e dell’urbanistica, sia a quella del pensiero psicoanalitico, filosofico e sociale che, in diversi casi, appaiono puntuali e inediti nel nostro campo disciplinare.
Muovendo dalla crisi dell'odierno spazio pubblico aperto, legato all'inarrestabile declino della sfera pubblica come si evince dagli approfonditi studi di H. Arendt e R. Sennett ripresi dalla Cotrufo, la tesi, dopo aver individuato l'esigenza di ridefinire i tradizionali ambiti dello "spazio domestico" e dello "spazio pubblico" oggi sempre più tesi a riversarsi l'uno nell'altro, arriva a sottolineare l'importanza dell'inconscio nella riformulazione dei nuovi luoghi della co-abitazione. Qui "il ritorno del rimosso" di matrice freudiana, proprio dell'inconscio individuale, e gli "archetipi dell’inconscio collettivo" di matrice junghiana potrebbero giocare un ruolo fondamentale di "autoregolazione dell'apparato psichico" (Jung) in un'integrazione necessaria dell'orientamento cosciente, al fine di evitare l'insorgere di nevrosi dovute a quel conflitto latente - e mai sanato - fra contenuti consci, tradizionalmente propri della sfera pubblica, e contenuti inconsci, propri di quella  privata.  Traslato nel campo dell'architettura e in particolare del progetto degli spazi pubblici aperti – di cui la dissertazione ripercorre sinteticamente alcuni momenti particolarmente significativi della storia - questa convivenza potrebbe sostituire al paradosso dello "isolamento in piena visibilità altrui", caratteristica degli spazi del moderno, un nuovo territorio di condivisione: quello spazio in-fra in cui si traduce la possibilità di un diverso equilibrio instabile fra l'Io e l'Altro, fra conscio e inconscio, fra heimlich e unheimlich, dove in luogo di un'opposizione fra identità pre-costituite, stabili e chiuse, si produce un terreno labile in grado di accogliere un’interferenza originaria che sempre precede la risposta singolare all'appello dell'altrui.

L'analisi del perturbante diviene così la chiave di lettura per comprendere l'apertura all’Altro, dove questo, nel fondamentale testo del 1919 di  S. Freud, viene declinato nel complesso intreccio che lega insieme il familiare e l'estraneo, il comune e l'insolito, il rassicurante e lo spaventoso. Come chiarisce la Cotrufo, l'ambiguità dello stesso concetto di unheimlich non consente di definire limiti chiari, trattandosi piuttosto, come rivela l'analisi semantica del termine, di un nucleo continuamente sfumato e fluttuante, in cui lo strano parallelismo tra familiarità e nascondimento rivela la possibilità di una sua modificazione, dell'improvviso tramutarsi nel suo contrario.
Accompagnato da analisi puntuali, molte delle quali mutuate dall'interpretazione datane da J. Lacan, la dottoranda  evidenzia alcuni aspetti specifici del perturbante, traslati poi nella dettagliata interpretazione degli esempi di spazio pubblico selezionati: dallo "sguardo oltre" come "entità autonoma capace di riflettersi in un’immagine speculare" che diviene espressione di una dualità inquietante - sottolineata nell'idea lacaniana di uno "spazio rovesciato" e di un'anarchia della visione -, al tema del "doppio e della ripetizione" cui si lega nell'unheimlich il pensiero di una riemersione legata a una presenza latente, un ritorno che è insieme “conservazione e distruttività”, “irrigidimento e disgregazione” in un enigmatico oscillare tra le pulsioni di vita e quelle di morte; dal "ritorno del rimosso", nucleo centrale del saggio  freudiano, espressione dell'angoscia profonda di una mancanza - effetto di un'infantile (se non primordiale) rimozione e vertigine di una interiorità a lungo sepolta che d'improvviso si svela -, al rapporto fra "realtà e finzione - inanimato e animato", il cui labile confine costituisce un altro ambito di insorgenza del perturbante, sfaldando certezze e demarcazioni che pensavamo stabilite per sempre.
La lunga esegesi del testo freudiano si chiude con il tema del "silenzio, la solitudine, l'oscurità", dove la mancanza della luce, determinando una condizione di cecità, produce di nuovo la perdita di qualsiasi  certezza, facendocadereil soggetto oltre la propria dimensione (conscia) abituale.

Ma la Cotrufo non si limita all'analisi del Das Unheimliche freudiano, la cui traslazione architettonica era già stata proposta da A. Vidler (1992) secondo una linea interpretativa prevalentemente orientata al decostruttivismo, inteso nei termini di una "frammentazione che rifiuta l'incarnazione tradizionale della proiezione antropomorfa in una forma costruita". Al contrario, una volta iniziato il lungo viaggio nei territori liminari della psicoanalisi e della filosofia, la tesi rilegge, confrontandoli fra loro, altre possibili declinazioni del perturbante, che traggono forza dalle articolazioni tematiche precedenti.
All'interpretazione freudiana si affianca, così, quella heideggeriana che, traducendo attraverso l'unheimlich la complessità del termine greco deinon, intende sottolinearne tre principali sfere semantiche, tutte caratterizzate da un'ontologica dualità: ciò che "desta terrore", ma anche "venerabile timore"; ciò che è smisurato, ma anche capace di "sovrastare per la sua eccellenza"; ciò che è insolito, ma anche immenso, nel senso che eccede l'abituale. Una triade di significati simili a quelli che R. Otto, nel suo famoso testo "Il Sacro" (1917), sintetizzava attraverso il neologismo del numinoso a esprimere “lo scompenso soggettivo di fronte a qualcosa di ‘Esterno’ e di solenne, che nella sua incommensurabilità atterrisce”: il mysterium  tremendum, "la presenza invisibile, maestosa e solenne che affascina e terrorizza".Considerati entrambi come altre possibili declinazioni del perturbante (di cui quella del numinoso del tutto nuova nel nostro ambito disciplinare), la dottoranda ne sottolinea anche le differenze, evidenziando come all'assimilazione estetica del sublime operata da Otto, si contrapponga il confronto-scontro tra heimlich-unheimlich di M. Heidegger, in cui alla casa (heim), formalizzazione possibile della "Quadratura" (l'unità originaria di terra, cielo, mortali e divini) si oppone, in un dissidio irrisolto,  l'unheimlich, la cui incursione improvvisa e impetuosa nespezza la stabilità, l'armonia e la bellezza, introducendo il non-familiare (ovvero la pulsione di distruzione) nel familiare (la pulsione di protezione).
Troppo lungo sarebbe, in questa sede, entrare nell'articolato pensiero del filosofo tedesco, di cui la Cotrufo  ne ripercorre, con indagine minuziosa, alcuni assunti salienti: ciò che emerge è la complessità di un concetto che sembra rivestire un carattere molteplice e multiforme, "più volte piegato" e, dunque, intrecciato e celato. è questa polivalenza ambigua e irrisolta a catturare altre due interpretazioni cui la dottoranda ricorre, evidenziandone l’influenza sulla riflessione architettonica contemporanea.  
Si tratta del tema derridiano dello hantise e della différance, della "disgiunzione del presente" e dello sdoppiamento,  che porta il tema della co-implicazione e dunque della possibile co-abitazione. Questo "raddoppiamento  è una sorta di eco, il ripresentarsi in un altro luogo dello stesso, di un'alterità che non si lascia racchiudere in un'identità". è la questione centrale della differenza e della discontinuità che attraversa tutto il pensiero della decostruzione: questione che ritorna, attraverso i concetti del "Fuori" e della "esperienza del limite" nelle "eterotopie" di M. Foucault. Questi “spazi assolutamente altri”, eterogenei e contraddittori, “inquietano – scrive Foucault – perché minano segretamente il linguaggio, […] perché devastano anzi tempo la sintassi” inducendoci, ricorda la Cotrufo, a “ricostruire, a posteriori e in maniera contingente, la relazione eventuale e le sue condizioni”, a ridare, nell’esplosione dei frammenti, senso nuovo alle cose.

Si tratta – prosegue la dottoranda – di ricongiungersi con una naturalità perduta, dove la natura riaffiora nella sostanza di un caos originario, in cui le opposizioni si fondano senza con-fondersi, mantenendo l’alterità in una “differenza assoluta”, in una “tensione irrisolta che fa, di questi spazi, luoghi di una perenne resistenza” a qualsiasi comprensione logico-formale.

E' questa, senza dubbio, la chiave di lettura latente che attraversa l'intera dissertazione e che sembra emergere con forza negli spazi pubblici più riusciti esaminati dalla dottoranda. Il carattere perturbante non sempre , infatti, riesce a produrre quella tensione-riconciliazione auspicata con l'alterità: nelle sue ambigue pieghe e possibili manifestazioni, la presenza di aspetti perturbanti - quali ad es. la dismisura, il doppio o la ripetizione (dispositivi euristici presenti in molti progetti) - può anche generare spazi alienanti che non  consentono alcuna esperienza di condivisione, né di identificazione.
E' il caso emblematico della Défense a Parigi, su cui la tesi continuamente ritorna in una sorta di "coazione a ripetere", nella volontà di sottolinearne il carattere unheimlich, si, ma nel senso negativo del termine: un carattere nel quale è, innanzitutto, l'enorme fuori scala (la sua Bigness) a impedire qualsiasi relazione tra le parti, qualsiasi dialogo fra le persone che, attraversandolo, non riescono a viverlo, né a farne parte.
Diversamente, gli altri itinerari proposti dalla Cotrufo sembrano cogliere l'opportunità, in rapporto al programma (simbolico e funzionale) e secondo registri compositivi  diversi, di spingersi verso quel "regno dell'oltre" che continuamente produce e accoglie la diversità, infrangendo i confini tra fuori e dentro, tra luce e ombra, tra terra e cielo: ora attraverso contraddizioni manifeste, ora alterità latenti, ora tensioni dinamiche e sfocate capaci di far co-abitare la differenza. Le lunghe passeggiate presentate dalla dottoranda attraverso gli spazi de La Villette a Parigi di B. Tschumi, del Parco Diagonal Mar a Barcellona di EMBT, della High Line a New York di Diller e Scofidio + Renfro, con J. Corner/Field Operations, insieme alle riflessioni di V. Acconci sullo spazio pubblico, emblematizzate dal Queens College a New York, e ai due esempi paradigmatici del perturbante freudiano, rappresentati dal Memoriale a Berlino di P. Eisenman

e dal Ground Zero a New York di D.Libeskind, sovrappongono così ai registri compositivi/de compositivi appassionate descrizioni delle sensazioni-emozioni suscitate, facendo collidere, collassare ed esplodere le due sfere del conscio e dell’inconscio, continuamente scambiate e trans-codificate le une nelle altre. Senza sottrarsi al rischio di manifestare il pathos personale, gli itinerari proposti, in gran parte oggetto di esperienza diretta, sembrano sottolineare lo sradicamento necessario, che, decentrando la nostra identità, solo può avviare quel processo di condivisione, co-abitazione che lo spazio pubblico richiede.   

"Senza identità - sottolinea la dottoranda nella premessa alla dissertazione - non vi è accomunamento; ma senza differenze, l’identità stessa si mostra muta e in se stessa indifferente. Potrebbe forse essere proprio l’angoscia o il riverbero dubbioso del perturbante un motivo di riflessione per misurare il confronto con l’alterità", elaborando il "lutto" necessario che prelude alla possibilità di inventare nuove strategie capaci di dar vita a luoghi relazionali in cui l'alterità non si oppone all'identità, ma la fonda e la costituisce come sua "intrusione" originaria.

P. Gregory, Roma, 05 Maggio 2015

         

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