La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.
- Einstein
La crisi delle dimensioni fisiche, come crisi della misurazione, va di pari passo, come è facile comprendere, con la crisi del determinismo e riguarda, oggi, l’insieme delle rappresentazioni del mondo
- Paul Virilio
“...une même ville regardée de différents côtés paraît tout autre, et est comme multipliée perspectivement”
- G. W. Leibniz

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein

La mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre.

- Einstein


Temi del convegno

Partendo dal dibattito suscitato da alcune recenti iniziative promosse da Atenei italiani (Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Università degli Studi Federico II di Napoli) sul rapporto fra "Architettura e Realismo", orientate nel senso di una riposta condivisione delle tesi portate avanti  M. Ferraris con il suo Manifesto del nuovo realismo (2012), il convegno romano intende proporre come nucleo centrale del dibattito il confronto e il rapporto imprescindibile fra "nuovo realismo" e "postmodernismo", dove quest'ultimo, lungi dall'identificarsi con la definizione disciplinare corrente di “architettura postmoderna”, intende piuttosto evidenziare l'esplosione di quella vasta rivoluzione culturale che ha caratterizzato il tentativo - da parte della cultura occidentale - di prendere coscienza dei mutati presupposti materiali-tecnologici-economici e di far a essi corrispondere una diversa etica ed estetica, basata innanzitutto - nella crisi dei “grandi racconti” fondanti (F. L. Lyotard) - su un'accresciuta consapevolezza della relativizzazione e pluralizzazione culturale.

Ripercorrendo alcune tesi di Ferraris, esposte nel suo Manifesto e prima ancora in testi quali Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (2009), il ritorno al realismo sarebbe conseguenza della pesante smentita dei due "dogmi" principali del postmodernismo: l'idea che la realtà sia socialmente costruita e infinitamente manipolabile e che la verità e l'oggettività siano nozioni inutili. "L'esperienza storica dei populismi mediatici, delle guerre post 11 settembre e della recente crisi economica" sono per Ferraris l'esito di una drammatica realizzazione dell'utopia postmoderna che, basata in origine su principi quali liberazione, affrancamento, indipendenza, libertà, si manifesta oggi "come un utopismo violento e rovesciato", come "uno strumento di asservimento" o ancora come "un progetto di dominio o mistificazione". "Il postmodernismo si ritrae filosoficamente e ideologicamente, non perché abbia mancato i suoi obiettivi ma, proprio al contrario, perché li ha centrati sin troppo bene" (2012): infatti, ponendo alla propria base "il primato delle interpretazioni sui fatti", ha costituito, anche se involontariamente, un fondamentale fiancheggiamento ideologico degli sviluppi che hanno condotto alla situazione attuale.

Oggi le necessità reali che - scrive Ferraris - "non sopportano di essere ridotte a interpretazioni, hanno fatto valere i loro diritti, confermando l'idea che il realismo (così come il suo contrario) possieda delle implicazioni non semplicemente conoscitive, ma etiche e politiche" (2012).

Il Manifesto e le tesi di Ferraris intendono, dunque, rimettere al centro della riflessione filosofica, e non solo, la questione del rapporto con la realtà, la sua "inemendabiltà", la sua indipendenza rispetto alle infinite possibili interpretazioni, traduzioni e tradimenti. Ed è proprio questa ricerca e richiesta di realtà ad aver interessato gran parte della cultura architettonica attuale, che fra tutte le arti è certamente "la più duratura delle scritture".

L'architettura infatti, come scrive Ferraris in Documentalità, produce documenti, peraltro durevoli (se non perenni) e questa caratteristica la pone come un luogo di indubbia resistenza: lascia tracce e conserva tracce, divenendo "supporto per l'eternizzazione di un oggetto sociale", dove questo - al contrario di un "oggetto naturale" - sussiste "solo nella misura in cui le persone sanno che esiste". Fra le possibili modalità di registrazione degli oggetti sociali, l'architettura è dunque  particolarmente importante perché produce oggetti concreti, tracce immanenti che sono iscrizioni durevoli, capaci di sopravvivere molto più a lungo di altri documenti (o scritture) prodotti dall'uomo.

La questione della durata pone come suo corollario quello della responsabilità dell'architettura e degli architetti, interpreti di una collettività che deve rappresentarsi. In questa ottica parole chiavi dell'architettura diventano: ragione/razionalità/ragionevolezza, soggettivo/collettivo, trasmissibilità, appropriatezza e indirizzano verso una teoria della normalità contro l'eccezionalità, ovvero contro quella ricerca di "straordinario" con cui spesso si è identificata - e si è voluta identificare - ampia parte della produzione più recente.

Si tratta di una questione a lungo dibattuta, che vede contrapposti fra loro schieramenti diversi: da una parte chi, come Vittorio Gregotti, ha sempre accusato il postmodernismo di "progressiva disgregazione degli impegni critici della cultura di fronte allo stato delle cose”, disgregazione che apparterebbe a quella “funesta, anche se storicamente propria” “categoria del postmoderno” in cui “è solo ammesso […] l'orgoglio della dissoluzione” (2008); dall'altra chi, come Charles Jencks (per restare nell'ambito di una elevata produzione della critica e teoria architettonica internazionale), pur assumendo posizioni nel tempo diverse, ha continuato a difendere la pluralità delle visioni, lo scarto prodotto nell'architettura dalle nuove "indeterminatezze" filosofiche e scientifiche, affermando come il postmodernismo (1977), il "critical modernism" (2007) e il "Radcal post-modernism" (2011) abbiano in realtà liberato l'architettura dai condizionamenti ortodossi del modernismo, favorendo correlazioni polimorfe, capaci di sostenere accanto all'eterogeneità, alla discontinuità e alla differenza nella cultura e nella storia, anche valori innovativi, improntati a un nuovo rapporto del soggetto (non più inteso come modello normativo) con i mondo.

Del resto l'idea che il nostro orizzonte di senso non sia più sostenuto da metateorie, se da un lato ha aperto alla frammentazione, dissociazione, ibridazione e interpretazione continua dei fatti, dall'altro ha prodotto anche l'emersione di valori diversi, spesso distanti o allontanati dalla cosiddetta cultura alta, quali la plurivocità, il diverso, il difforme: valori che inducono a riconoscere quale essenza del Wesen del postmodernismo (nell'arte e nell'architettura) il senso di "spaesamento" dell'esperienza estetica che, come scriveva Gianni Vattimo, "è costitutivo e non provvisorio” dell'opera d'arte, non più centrata sull'opera (oggetto) ma sull'esperienza.

E' dunque in questo rinnovato rapporto (spesso spaesante) soggetto/oggetto in cui il soggetto è innanzitutto il fruitore dell'opera, che il postmodernismo ha prodotto quello "alleggerimento dell'essere" che, spostando l'interesse dalla struttura dell'oggetto al suo carattere evenemenziale, interrelazionale, metamorfico, ha finito per opporsi alla stabilità strutturale del dato, affermando e dispiegando una pratica della differenza, dell'alterità, del continuo divenire.

Se questo è, potremmo dire, lo stato delle cose, alcune questioni appaiono nell'architettura immediate e in attesa di nuovi approfondimenti. In particolare, la questione nell'architettura riguarda proprio il rapporto del progetto con la realtà: questa, definita dal nuovo realismo come un dato inemendabile, ponendo la questione dell'oggetto e della sua oggettività, sembra orientarsi verso un'idea di "intrasformabilità" del mondo che pone l'io - e in particolare il lavoro dell'architetto - in una rassegnata accettazione dell'esistente.

Come corollario, il progetto viene portato a esibire (secondo un principio di liberazione dal superfluo e di limitazione a un nucleo centrale di problemi) il processo logico (o analogico), piuttosto che le sue qualità formali di oggetto estetico, esaltando i contenuti comuni, condivisibili perché già accertati, e l'aspirazione a una poetica che vorrebbe essere quella della "pura ragione".
Da ciò è discesa nel passato e discende oggi, in alcune interpretazioni italiane del realismo, una tendenziosa equivalenza fra nuovo realismo e razionalismo e in particolare, nell'ambito architettonico, fra nuovo realismo e neo-razionalismo, secondo la declinazione della tradizione disciplinare degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso. Tuttavia quanto i due concetti realismo e (neo)razionalismo siano assimilabili e se quest'ultimo nella sua astrazione possa fungere da metodo per un’architettura realistica, e perciò "concreta", è una questione dibattuta con esiti molto controversi. Potremmo ricordare, a questo proposito, quanto nell'immediato secondo dopoguerra il "neo-realismo" abbia portato di fatto verso una posizione contraria e antitetica: non solo verso un localismo o regionalismo del linguaggio architettonico - opposto all'idea di uniformarzione-omologazione-standardizzazione propria del razionalismo - ma anche verso una rappresentazione del dramma vissuto, da cui l'architettura avrebbe dovuto ripartire.

Oggi declinazioni diverse del realismo e di postmodernismo si confrontano e si oppongono fra loro. Saranno queste a essere dibattute durante il convegno, il cui confronto con la filosofia non attende risposte certe, piuttosto la capacità di riuscire anche a "contraddirsi senza annullarsi".

Paola Gregory

 

Video registrazione del convegno

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